Cap. 1 – “Il Buon Selvaggio” e la Scienza

TW // razzismo, colorismo, discriminazione razziale, eurocentrismo

L’idea eurocentrica1 che gli esseri umani in origine fossero “bianchi” portò alla visione del colore “nero” della pelle come una degenerazione. Secondo diversi punti di vista religiosi, la pelle nera era associata allo sporco ed era considerata la conseguenza di maledizioni e punizioni divine. Da un punto di vista filosofico, invece, le caratteristiche tipiche delle persone Nere derivavano dall’esposizione al Sole, e alcune teorie antropologiche (poi scartate) correlavano le sfumature della pelle nera alla vicinanza all’equatore.

Nel 1730 circa si fa strada l’idea che «ogni cosa diventa corrotta quando toccata dalla civilizzazione». Il “Mito del Buon Selvaggio”2, nonostante abbia posto un freno a certe attitudini, di fatto contribuì ad etichettare le persone razzializzate come “selvagge” e a sottoporle a una serie di studi e misurazioni.

La Smithsonian Institution raccolse dati sulle numerose caratteristiche fisiche degli esseri umani (colore della pelle incluso). Ales Hrdlicka pubblicò istruzioni su come standardizzare le misurazioni e le osservazioni delle caratteristiche umane.


Il colore della pelle veniva inizialmente misurato mettendo a paragone specifiche parti del corpo con degli «standard ben conosciuti»: questo metodo usa come standard quelli designati da Broca, stabiliti per misurare il colore della pelle dei “non-caucasici”. Altri metodi furono:

  • Il “Tintometro”di John Gray: usato per misurare il livello di pigmentazione nei capelli, negli occhi e nella pelle;
  • “Color top”: partendo da dischi di colori diversi, questi venivano miscelati fino a raggiungere la tonalità di pelle della persona, e a quel punto venivano registrate le percentuali dei colori;
  • I “Blocchi di colore”: questi blocchi venivano confrontati con la pelle della persona fino a trovare quello corrispondente (similmente a Broca);
  • “Color standards” di Gustav Fritdch: 49 strisce di colore a partire da 7 sfumature per 7 suddivisioni;
  • Il fonometro: per misurare la luminosità del colore della pelle usando una particolare formula.

Le misurazioni riguardavano anche i capelli, soprattutto perché i capelli delle persone Nere erano considerati completamente diversi da quelli delle altre “razze”: i capelli venivano quindi divisi in categorie, a partire dal capello liscio (il capello riccio “vero” era considerato raro (cit. Sullivan), ma soprattutto i capelli delle persone Nere erano da considerarsi «simili alla lana delle pecore, non capelli» (cit. J.C. Prichard).

Classificazione del tipo di capello in base alla forma

«Browne suggerì l’esistenza di due distinte specie umane» e trovò che gli incroci tra le due specie potessero dar luogo a “7 gradi di ibridismo”. Ci fu meno enfasi sul misurare il colore dei capelli, ma anche per quello vennero ideati strumenti appositi.


Davenport delineò una classificazione delle dimensione delle labbra, dalle più sottili alle più carnose (seguì Sullivan con una simile classificazione).


Tutte queste misurazioni portarono a stabilire differenze razziali facendo confronti con standard europei; ciò contribuì a una lunga storia di repressioni, conflitti e discriminazioni negli USA. Per i ricercatori bianchi era fondamentale trovare una categorizzazione che non si basasse solo su tecniche visive per non “cadere in errore” (a causa degli effetti della skin bleaching, delle tinte, dello stirare i capelli, dell’uso di parrucche). Alla fine le persone Nere erano inserite in una categoria unica, senza tenere conto delle differenze culturali, al contrario della diversità che veniva concessa ai bianchi.

Per indicare le persone di etnia mista venne coniato il termine “mulatto”, dal latino “mula” (“mulo”, che è un animale ibrido tra due razze). Per anni si pensava che le persone mulatte non potessero riprodursi.


In psicologia si usavano categorizzazioni semplici.Tra i primi antropologi Neri, i quali storicamente hanno sempre contribuito ai discorsi su “razza”, cultura e diversità e hanno sempre messo in discussione le forze oppressive che hanno dato forma ai costrutti razziali, si ricorda Louis E. King. Alcuni studiosi, come Zora Neale Hurstin e Katherine Dunham Neri hanno lavorato al fianco di studiosi bianchi per diverse ricerche di antropologia. Caroline Bond Day è stata la prima persona Afro-Americana con un dottorato un antropologia, e Allison Davis è stato un dottorando all’università di Chicago alla fine degli anni ’30.

L’enfasi data alla categorizzazione delle “razze” e ai conseguenti test psicologici hanno portato a conclusioni di superiorità e inferiorità razziale. Nel 1928 l’AAA ha affermato che «L’Antropologia non fornisce basi per la discriminazione su base razziale, religiosa o linguistica», e un’avvertenza simile venne dalla comunità psicologica, nonostante non ci fosse una reale convinzione dell’eguaglianza razziale.

  1. Eurocentrismo: “La tendenza a considerare, soprattutto in passato, l’Europa come centro politico, culturale ed economico del mondo, spec. in fatto di direzione della grande politica mondiale” (da Enciclopedia Treccani) ↩︎
  2. la convinzione secondo cui l’essere umano fosse buono e pacifico prima di essere “corrotto” dalla civilizzazione ↩︎